venerdì 4 dicembre 2009

Segretario Generale FederStampa: basta soldi ai giornali fantasma a conduzione familiare

STAMPA ITALIANA ALL’ESTERO Su “Gente d’Italia” intervista al segretario generale della FNSI e presidente della Commissione Informazione del CGIE Franco Siddi: “Il Cgie? Andrebbe più ascoltato, ma il governo latita” ROMA – Segretario generale della Federazione Nazionale della Stampa, Presidente della Commissione Informazione del Cgie, Franco Siddi ha le idee chiare non solo su come dovrebbe essere il futuro del Consiglio generale, ma anche su come l’Italia dovrebbe fare di più per gli italiani residenti all’estero, in particolare per quanto riguarda l’informazione dedicata ai connazionali, argomento che – a colloquio con Gente d’Italia, quotidiano delle Americhe diretto da Mimmo Porpiglia – Siddi tocca molto da vicino. A margine della seconda giornata di lavori dell’assemblea plenaria del Cgie, che terminerà oggi alla Farnesina, Siddi ammette: “il Consiglio non si può cancellare, “sarebbe sbagliato”, ma certamente si deve “riorganizzare la sua funzione”. Un organismo, il Cgie, nel quale – è convinto Siddi – c’è molto volontariato: non è quel carrozzone di cui tutti parlano, dice, che succhia solo soldi allo Stato… Insomma, fa capire, con il Cgie non si diventa ricchi. E’ la voglia di partecipare che spinge le persone che lo compongono ad andare avanti, anche “per sentirsi protagonisti”. Con Siddi non potevamo non parlare di stampa e informazione: un’informazione, quella dedicata agli italiani nel mondo, che va aiutata e sostenuta. Magari, nel caso dei quotidiani, pensando a nuovi criteri di valutazione per la concessione dei contributi statali. E – perché no – pensando già a come un giorno poter sostenere l’informazione online, quella che sia “all’insegna del pluralismo e della professionalità”. Franco Siddi, da che parte va il Cgie dopo la relazione di governo? Qual è il futuro del Consiglio? “A sentire il governo e alcuni parlamentari il futuro del consiglio è quasi finito. A vedere la relazione del Cgie c’è un futuro importante. Perché ci sono gli italiani all’estero, e anche la comunità degli italiani che sostengono le politiche per le nostre comunità nel mondo, che ritengono che la società civile non possa scomparire per legge, per decreto, o perché si pensa che tutto sia un fatto tecnico-economico-finanziario. La situazione non è facile, il Cgie ha ancora un ruolo: deve riorganizzare la sua funzione, ma immaginarne la cancellazione credo sia una condizione sbagliata nell’affrontare correttamente i problemi delle varie comunità italiane nel mondo”. Quando parla di riorganizzazione, è d’accordo con quanto prospettato dalla relazione del governo? Oppure quali idee ha Franco Siddi? “Non è un compito che, per la funzione di rappresentanza che svolgo, quella della stampa, spetta a me affrontare in maniera dettagliata. Ritengo però che una sottovalutazione delle espressioni associative e culturali, che sono la ricchezza delle comunità, sia sbagliata. I partiti da soli non risolvono tutto. Quindi, va superata questa sottovalutazione”. Secondo Siddi, è necessario “non dico fare un po’ di pulizia”, ma “sistemare un po’ di cose: non c’è bisogno di prevedere partecipazioni elefantiache, ma partecipazione mirate”. “Rischio di entrare troppo nei dettagli, e non va bene” – continua Siddi a colloquio con Gente d’Italia -, “però noi abbiamo delle duplicazioni qui”, all’interno del Cgie, “tra associazioni, partiti e altro. Credo che questo vada un po’ evitato, e vada favorita l’espressione più viva e autentica delle comunità”. Comunità “che si riuniscono anche in associazioni, ma se momenti associativi poi dopo si moltiplicano in tre o quattro rami, perché così c’è qualche posticino in più, credo che non sia una cosa bella”. E certamente, aggiunge il consigliere Cgie, “non è utile”. Certo, “può servire in una dinamica di composizione, anche democratica, per carità…”. O di poltrone? “Non lo volevo dire, ma è così. Anche se queste non sono poltrone, sono strapuntini. Anche qui vanno messe le cose al loro posto. Molti pensano al Cgie come un elefante che succhia soldi allo Stato. Onestamente, è un organismo in cui credo ci sia molto volontariato, nonostante tutto. Certamente, è giusto che chi arriva dall’estero abbia il volo rimborsato. Ma i rimborsi oggi sono così irrisori, che solo il volontariato, solo la fiducia in un’attività sociale dà la spinta, a chi c’è, di sentirsi protagonista e attivo. Altrimenti non ci sarebbe ragione per il gettoncino da 100 euro per venire qui o di un rimborso spese che non ti paga nemmeno un albergo decente”. Siddi è un fiume in piena. “Non è un problema di soddisfazione personale, materiale, che il Cgie risolve. Il Cgie andrebbe più ascoltato, questo è il problema. Il Cgie spesso è costretto in una dimensione autoreferenziale, questo è il suo problema più grande. Anche qui, in questa circostanza, in questa settimana, il governo latita. Non c’è quasi mai l’espressione politica. Ci sono i membri dell’amministrazione dello Stato, ma su una serie di tematiche serve l’interlocuzione politica. Non perchè occorre scegliere se stare a destra o sinistra. Ma perché è la politica che deve risolvere dei problemi. Io penso al mio mondo, al mondo dell’informazione: certe risposte non le può dare il direttore di Rai International: le deve dare l’azienda Rai, il ministro degli Esteri, la politica. Questo vale per i diritti sportivi, così come vale per l’investimento sulla televisione per l’estero, così come vale per considerare o meno se c’è bisogno di aumentare i finanziamenti per la stampa all’estero”. C’è bisogno di aumentare i finanziamenti per la stampa all’estero? “A mio giudizio sì, perché 2 milioni e 60mila euro per la stampa periodica sono una sciocchezza. E’ una cifra irrisoria. Ci si lamenta che alcuni periodici non sono strutturati sufficientemente, però si danno soldi a pioggia un po’ a tutti, e in realtà non si accontenta nessuno. I soldi dati a pioggia così vanno bene soltanto per quelle realtà a gestione familiare, di chi si fa il giornale in casa. Ma se uno vuol fare un’attività leggermente professionale, qualitativamente più penetrante, non può col contributo dello Stato pensare di fare cose importanti. Invece questo andrebbe fatto, occorrerebbe fare lì un riordino”. Questo per quanto riguarda i periodici. E i quotidiani? “La situazione è diversa, perché i quotidiani destinati all’estero sono sotto lo stesso regime della stampa italiana beneficiaria di contributi pubblici, quindi tutto sommato la situazione sembrerebbe migliore. Tuttavia, anche qui ci sono cose da correggere. Più che mettere più soldi, bisogna intanto rivedere le procedure. Per consentire un accesso non facilitato, un accesso rigoroso, con dei parametri chiari e precisi”. Per esempio? “Se oggi è difficile, per esempio, certificare i dati di stampa, il parametro principale per calcolare l’entità dei contributi, forse oggi bisogna guardare ad altro. Guardare all’investimento professionale, guardare l’utilizzo di risorse professionali di qualità, quindi giornalisti che professionalmente siano qualificati a farlo, eventualmente guardare la struttura industriale del giornale pubblicato, e su questa base calcolare poi i contributi. E’ una richiesta che si sta facendo strada anche in Italia, per i quotidiani italiani; il governo l’ha anche recepita, quindi probabilmente qualche novità interessante ci sarà. Tuttavia, da qui al 2012, anche per i quotidiani in generale, quindi capiterà anche per l’estero, è prevista una riduzione secca della torta a disposizione dello Stato. Quindi ci sono dei rischi notevoli. Per il 2008 e il 2009, si sta cercando disperatamente di mantenere fermo almeno il finanziamento al livello dell’anno precedente; ma per i prossimi due anni le Finanziarie degli anni scorsi prevedono dei tagli consistenti. Questo rischia di creare un impoverimento, e i giornali all’estero ne soffrirebbero probabilmente più di altri, perché hanno un pubblico per certi versi circoscritto, per altri globale. Chi sta nel Sud America diffonde il suo giornale spesso in più paesi,… Ecco, per esempio per i giornali all’estero bisognerebbe pensare a un sostegno per la diffusione: certificata naturalmente”. Stampa online. Se ne parla in Francia, negli Usa. Cosa fa l’Italia per l’informazione che corre sul web? “Per la stampa online si fa ancora poco. Io credo che occorra fare un discorso sull’editoria multimediale, su chi è in grado di lavorare su più piattaforme. Qui, però, l’immaterialità – diciamo così – del lavoro, è più evidente che in altri settori. Occorre allora, se pensiamo al sistema degli interventi pubblici, ancora di più rafforzare i parametri relativi alla struttura imprenditoriale, organizzativa, redazionale. Perchè altrimenti io rischio di finanziare i blogger”. Crede che in un futuro non lontano in Italia si potrà parlare di un sostegno all’informazione online? “Credo che bisognerebbe accelerare. Il pubblico ormai si informa diversamente dal passato. I giovani essenzialmente si informano online. Allora noi dobbiamo garantire che si sostiene il pluralismo dell’informazione considerando anche gli strumenti online, a condizione ovviamente che si tratti di strumenti di informazione in qualche modo certificati. Trovare il modo di individuare un bollino, un bollino di qualità, di professionalità, che merita di essere sostenuto in quanto espressione del pluralismo dell’informazione, e d’informazione professionale”. (Ricky Filosa-Gente d’Italia/Inform)