venerdì 11 dicembre 2009

Il testo integrale dell’intervento in Senato del sottosegretario agli Esteri Alfredo Mantica

Signor Presidente,
ringrazio i presentatori delle mozioni perché offrono l’occasione di allargare il dibattito ed il confronto che il Governo ha già avuto sia alla Camera che al Senato nelle competenti sedi delle Commissioni esteri. Cercherò di rispondere alle varie osservazioni espresse nella discussione generale, soprattutto contribuendo alla definizione di quello che deve essere inteso come termine di confronto. È evidente che il confronto con il Parlamento in merito alla struttura della rete diplomatico‑consolare esterna sia un tentativo abbastanza nuovo del Governo, perché da un certo punto di vista stiamo discutendo di un atto formalmente meramente amministrativo, in quanto come credo sappiano tutti i colleghi si tratta di una delibera del consiglio di amministrazione del Ministero.
Il fatto che il Governo abbia ritenuto di allargare questo confronto e di non considerare più la delibera emanata come atto meramente amministrativo ma come atto politico è legato a due ordini di fattori. Innanzitutto, la discussione in corso non è condizionata da indicazioni derivanti dalla manovra finanziaria, non è cioè imposta da una legge che stabilisce una riduzione di costi. L’avvio di questo processo è, quindi, una scelta autonoma del Ministero. Interviene, poi, un aspetto tutto politico e a questo proposito vorrei, non tanto replicare in maniera decisa, quanto far capire che non si tratta solo di chiusure di sedi consolari. Se, infatti, continuiamo a parlare soltanto di atti di chiusura diamo a questo dibattito e a questo confronto un tono assolutamente riduttivo. Cercherò, pertanto, di spiegare per quale motivo la questione di cui stiamo discutendo non si riduce a questo aspetto, anche se è proprio da esso che il Governo ha cominciato il confronto. Consentitemi di dire che qui ognuno gioca il suo ruolo; poi, qualcuno, dopo ampi dibattiti e confronti, deve pur decidere in un senso o in un altro.
Il Governo ha ritenuto di proporre un piano e di indicare delle chiusure sapendo perfettamente che queste ultime sono la parte che più ferisce; diversamente, se avesse cominciato a parlare, ad esempio, di servizi consolari a distanza e di uso dei personal computer, credo che la cosa non avrebbe appassionato nessuno e non si sarebbe aperto un dibattito politico, tanto è vero che di questi temi poco si è parlato. Si tratta di un confronto politico su un atto che non è meramente amministrativo e su questo siamo perfettamente d’accordo.
Vorrei precisare che se tale iniziativa non è dettata dalla finanziaria – l’ho ripetuto e lo farò ancora – non è neppure dettata da motivi di carattere economico. È ovvio che se si chiude una sede, si avrà un risparmio; ma il Governo ribadisce in quest’Aula – e lo fa per l’ennesima volta – che tutto ciò che verrà risparmiato o, quanto meno, i costi che verranno contenuti sulla rete consolare verranno reinvestiti nella rete stessa. Il sistema del consolato a distanza, l’innovazione tecnologica non sono gratuiti, ma prevedono dei costi e sono frutto di ricerca, di studi, di progetti: parliamo di milioni di euro. Quando si chiude una sede e si investe in tecnologia, si risparmia da una parte e si fa un investimento dall’altra, ovviamente sperando di ottenere almeno un risultato di miglioramento dell’efficienza e del livello dei servizi. La tecnologia gioca un ruolo determinante in tutto questo discorso. Il Governo ha cercato di dimostrare fisicamente e in termini concreti nella sede di Bruxelles, dove c’era questo prototipo di sistema informativo, il processo che intendiamo avviare. Il confronto su tale questione è importante perché parliamo di un periodo molto breve: 2010-2011.
Consentitemi tra l’altro una battuta. Di questo argomento avevamo già parlato a maggio del corrente anno; a parte due declassamenti, le prime chiusure o le prime ipotesi di chiusura e di razionalizzazione avverranno a giugno del prossimo anno. Ditemi quale Governo, nel 2009, per chiudere una sede ha bisogno di un anno di discussione; ho cominciato a parlarne a maggio 2009 e tutti sapete che la prima eventuale chiusura è prevista per giugno 2010. Questo Governo è disposto a un confronto di un anno, ma prima o poi bisognerà iniziare. A chi mi viene a chiedere ancora tempi di riflessione, faccio presente che sono disponibilissimo, però non ragioniamo in lustri: vorremmo almeno ragionare in anni, possibilmente in mesi e non si può dire al Governo che non può procedere alla riforma perché ci sono delle proteste, visto che non c’è una sede per la quale non ci siano migliaia di firme e di proteste.
Qualcuno potrebbe dire che ciò che stiamo facendo è sbagliato perché il concetto di sede è immutabile nel tempo; mentre vorrei spiegare che nemmeno il concetto di servizio è immutabile. Non si può accettare che in una fase di grande trasformazione – parlo dei cittadini italiani residenti all’estero – rispetto alla prima immigrazione, le prime generazioni, i primi bisogni che avevano questi nostri concittadini, i servizi saranno resi sempre e comunque come li abbiamo dati; in primo luogo, perché – e questo lo voglio ribadire perché è una mia convinzione – il consolato non è un municipio all’estero e nemmeno un patronato nazionale; esso ha un altro ruolo. Per l’assistenza, il conforto, l’aiuto, la consulenza esistono strutture che conoscete meglio di me; il consolato ha altri ruoli ed altre funzioni che sono innanzitutto – come ha ricordato molto bene il collega Micheloni – quelle di rappresentare il sistema Italia ed anche questa è una trasformazione in atto. Quando dico che il consolato non è un municipio, vuol dire che si recuperano o si cercano di recuperare funzioni di carattere diplomatico, di promozione culturale ed economica, di promozione dell’immagine dell’Italia nel mondo. In altre parole, c’è un tentativo in atto – mi auguro fra un po’ di giudicarlo ben riuscito – per la trasformazione del Ministero degli affari esteri che, nel mondo delle tecnologie, forse cambia come sostanza (non credo che più nessuno immagini la feluca che porta ancora una lettera al Governo straniero), ma comincia ad assumere, o sta cercando di farlo – di questo qualcuno ne ha parlato e sarà questa la logica della discussione in atto su un’eventuale riforma del Ministero – il compito di rappresentare il sistema Italia nel suo complesso rispettando il decentramento, che non è solo formale.
Ad esempio, l’esistenza, l’attività ed il ruolo delle Regioni nella politica estera rappresentano ormai un fatto di cui occorre prendere atto. Magari qualche volta si spera di coordinare meglio le attività delle Regioni italiane all’estero; in ogni caso, rimane un fatto positivo, che ha creato ed aumentato il valore del sistema Italia, ma che in qualche modo deve essere ricondotto almeno ad una cabina di regia e ad un unum di strategie e di movimento. Anche le Regioni, però, hanno ruoli e funzioni all’estero, di cui bisognerà parlare.
Detto ciò, il Governo condivide lo spirito delle mozioni presentate, anche di quella a prima firma del senatore Pedica, che è un po’ più particolare perché cerca giustamente di reinserire nel discorso della razionalizzazione della rete diplomatico-consolare la modifica del sistema delle rappresentanze dei cittadini italiani all’estero. Il Governo è stato informato ed in qualche modo ne abbiamo parlato anche in altre sedi; tuttavia, come ha ricordato più volte il senatore Pedica, rispetto a questo tema si è cercato – colgo l’occasione di questo intervento in Aula per ringraziare il Comitato ristretto della Commissione esteri – di unificare intorno ad un progetto di legge in gran parte condiviso, almeno nel suo sistema di architettura portante, la riforma della rappresentanza. Si tratta infatti di un altro tema – di cui si è parlato in sede di Commissione – di grande sensibilità, perché tutti, a partire dai parlamentari italiani eletti all’estero, si rendono conto del fatto che anche questo sistema di rappresentanza va reinserito e riconsiderato alla luce delle innovazioni e delle novità in qualche modo convenute con l’elezione dei rappresentanti degli italiani all’estero.
Per quanto riguarda la questione della chiusura delle sedi e l’accusa di voler risparmiare, vorrei svolgere un piccolo ragionamento. Probabilmente ne abbiamo parlato poco, ma ricordo che per Convenzione europea al 30 giugno 2010 tutti i passaporti saranno biometrici con impronte digitali. Per tutte le amministrazioni dei 27 Stati europei questo è stato un momento di grande riflessione sulle strutture che devono introdurre tale novità, che è anche tecnologica e richiede macchine e sistemi particolari. Sottolineo che l’Italia è l’unico Paese tra i 27 ad avere scelto – lo ha fatto il Governo Prodi e lo ha sottoscritto il Governo Berlusconi e, quindi, è una scelta dell’Italia e non della sinistra o della destra – di prevedere 220 installazioni nel mondo per rilasciare il passaporto biometrico. La Francia ne ha una sola a Parigi, dove vengono inviati tutti i passaporti che poi saranno pronti nei tempi consentiti, cioè un mese. Ho citato i due punti estremi, ma ovviamente nel mezzo vi è una serie di modulazioni. Tuttavia nel complesso, anche in questo momento, l’Italia ha scelto una presenza fisica attiva e costante rispetto ad un problema, come quello del passaporto, che è assolutamente drammatico. Ricordo, però, che il passaporto si richiede una volta ogni dieci anni: stiamo parlando di un servizio che un cittadino italiano chiede una volta ogni dieci anni. Forse una volta ogni dieci anni si possono anche percorrere 50 chilometri di autostrada per andare al consolato più vicino! Tra l’altro, esistono servizi di agenzia che forniscono questi documenti. Ormai, però, la scelta è stata fatta, ma rispetto alla chiusura e all’accusa di voler risparmiare sulle sedi (non so per fare quali altre cose), i Governi italiani ed il sistema Italia rispondono fornendo tale dato. In seguito, potremo valutare se il meccanismo funziona e se la scelta è stata giusta o sbagliata; in ogni caso, i dati indicano quanto il Governo italiano intenda essere presente e diffuso sui territori esteri.
L’altra questione riguarda il biennio 2010-2011. Abbiamo evidenziato più volte, anche indicando le sedi, che non è vero che non vi sia una strategia. Si tratta soltanto di un tentativo che stiamo facendo insieme, sulla base di alcune convinzioni del Governo e del Ministero; alcune tecnologie ed innovazioni avranno dei risultati, una parte dei quali è già visibile, mentre gli altri lo saranno fra qualche mese. Peraltro, anche in questo caso, sembra che si parli della rivoluzione copernicana; in realtà, stiamo banalmente facendo quello che le banche hanno tentato di iniziare ben 15 anni fa.
Stiamo parlando di home banking per chi utilizzerà i servizi consolari a distanza, vado per analogia, e di bancomat quando si immaginano servizi resi a distanza ma pubblici e quindi in uffici o in agenzie consolari, consolati onorari e quant’altro. Purtroppo non sono servizi che si possono offrire in mezzo alla strada, cosa che ci differenzia dal sistema bancario. Anche in questo caso, dunque, è bene riportare l’innovazione tecnologica all’interno di un certo contesto. L’importante è che il sistema funzioni, considerato che non si sta inventando nulla, né tanto meno si vuole raggiungere Marte con un aereo; vorremmo offrire servizi che altri mettono a disposizione ormai da qualche decina di anni.
E anche a chi mi dice giustamente, visto che chi vi parla è una persona anziana che non sa usare il personal computer, che i nostri cittadini sono anziani e quindi hanno difficoltà ad utilizzare questo strumento, rispondo che si tratta di un problema comune. A parte che mi pare che ormai questi strumenti sono entrati a far parte della vita di ognuno di noi, in quanto strumenti necessari per svolgere attività di carattere quotidiano, voglio in primo luogo precisare che resteranno comunque a disposizione i bancomat assistiti da funzionari e quindi l’assistenza garantita dalla presenza fisica del personale in sede; tuttavia credo che in tutte le famiglie, allargate o ristrette che siano, ci sia almeno uno dei componenti in grado di utilizzare il personal computer. Tra l’altro, vi posso assicurare per esperienza che l’utilizzo di questo servizio consolare a distanza non richiede lauree in ingegneria informatica, ma è estremamente semplice ed elementare.
Aggiungo, e mi avvio alla conclusione dell’intervento, che in questo confronto si parla sia di chiusura ma anche di apertura di sedi. Credo sia ormai un fatto noto e conosciuto che, probabilmente nel primo semestre del 2010, apriremo un’ambasciata in Turkmenistan. Credo sia abbastanza facile immaginare che se l’Islanda formalizzerà la domanda di ingresso nell’Unione europea e sarà uno dei Paesi dell’Unione europea, visto che non esiste Paese dell’Unione europea privo di sede di ambasciata italiana, è probabile che in prospettiva, direi dal 2011, sia aperta un’altra sede di ambasciata. Questo è quanto è dato sapere al momento, anche se non sono escluse aperture di nuove sedi o di nuove rappresentanze.
È bene sapere che parliamo della riforma che abbiamo visto a Bruxelles nell’ambito dei consolati; di servizi di sportello polifunzionali legati a strumenti informatici; di servizi consolari a distanza e dunque della possibilità per il singolo cittadino italiano di accedere ai servizi consolari direttamente da casa. Parleremo poi di percezioni consolari, che rappresentano un’altra parte del sistema dei servizi, quando si procederà nella discussione del decreto presidenziale n. 200, una volta modificato; di passaporto biometrico e parlavamo anche – mi dispiace che nessuno l’abbia menzionato – del fatto che in Europa è avvenuto un piccolo cambiamento, probabilmente banale, legato al fatto che poiché è stato definito il ruolo di un Ministro degli esteri dell’Unione europea, si è anche definito l’aspetto della formazione di un servizio di relazioni esterne dell’Unione europea, che sottintende un servizio diplomatico, una rete diplomatica europea e altri servizi. Considerato che almeno 2 milioni di cittadini se non di più, che corrispondono alla metà dei cittadini italiani residenti all’estero, sono anche cittadini europei, essi sono a pieno diritto utenti futuri di questi servizi che certamente l’Unione Europea metterà in movimento. Allo stesso modo, alcuni Paesi europei – e cito la Repubblica federale tedesca – stanno avviando procedimenti di modifica dei loro sistemi di anagrafe per consentire, attraverso un documento, di riconoscere al cittadino tedesco il ruolo di cittadino europeo. Dunque, un documento che viene automaticamente riconosciuto all’interno dell’Unione europea.
Ma parliamo anche di cittadinanza, tema sul quale credo siano opportuni un dialogo e un confronto. L’Italia, infatti, è l’unico Paese al mondo che ha una legge così aperta sulla cittadinanza. È stata fatta in passato, con orgoglio, perché era il recupero a questa comunità nazionale di molti cittadini italiani che avevano perso la cittadinanza nel tempo. Ma i tempi sono anche cambiati ed è trascorso abbastanza tempo per renderci conto che facciamo parte di un sistema europeo, nel quale la nostra regola di legge e di cittadinanza è assolutamente anomala e anormale. Credo che tutti voi sappiate che in Spagna esistono molti cittadini italiani di origini argentina che sono cittadini italiani per la legge italiana e che, nella stessa loro condizione, un cittadino spagnolo residente in Argentina non sarebbe mai un cittadino spagnolo. Il che vuol dire che c’è un problema di cui dovremo parlare, che fa parte di questo contesto di servizi del sistema di rappresentanza. Per arrivare ad un’ultima banale osservazione. Credo che anche sull’elezione europea – lo dico adesso perché abbiamo quattro anni e mezzo davanti – ci dovremo porre il problema se dobbiamo continuare a mantenere tre modalità di voto. In altri termini se dobbiamo continuare a votare venendo in Italia come cittadini italiani per i partiti e gli esponenti politici italiani; o nel luogo di residenza come cittadini italiani residenti all’estero, ma anche come cittadini europei per le liste e i candidati che in quel Paese si presentano al Parlamento europeo; o nel modello che definisco di “sezione elettorale condominiale”, cioè portando sempre un’urna, per cui anche all’estero si possa votare per i cittadini e i partiti italiani. Credo che di questa terza modalità potremmo anche discutere alle prossime elezioni.
Ecco, l’insieme del confronto e del dialogo, che diventa politico perché molti di questi temi ovviamente sono politici, sebbene nei fatti e nel concreto si misurano in sedi, uffici, impiegati, ruoli, contrattisti e così via. Ebbene, il Governo ha avviato su questo tema un dialogo e un confronto con il Parlamento, che durerà questo biennio, ma che mi auguro possa essere costante su una riforma che oggi definiamo di prototipi, di modelli, di sistemi, sperando un giorno di coglierne tutti insieme la portata, ancora più del Governo che in molti casi si muove per esperimenti e per verifiche.
Rivolgendomi all’amico Micheloni che ha molto contribuito – e lo ringrazio – a questo dibattito, vorrei sgombrare il campo su alcuni passaggi del suo intervento da subito: Saarbrücken. Per la Saar sono morti milioni di cittadini europei, abbiamo fatto guerre e le miniere di questa regione sono importantissime. A Saarbrücken esistono due consolati generali, uno è quello nostro di cui parliamo di chiusura e l’altro è quello francese. Peraltro, ricordo agli immemori che la Francia confina con la Saar. Il consolato di Francia è titolato consolato generale, ma tutti sappiamo che in realtà è un ufficio di rappresentanza. Allora, fare di Saarbrücken la nuova Danzica, per cui scatenare la terza guerra mondiale, mi sembra un po’ esagerato. Se il confronto ci deve essere, lo faccio anche su Saarbrücken; ma va riportato nei suoi termini, al di là della demagogia che fa parte un po’ del dibattito ed è anche un po’ il sale della vita. Inoltre, con riferimento agli esperimenti di cui parliamo e con le modalità di cui discutiamo, sulla base del piano del Governo e delle osservazioni di cui l’Esecutivo prenderà atto, si prenderà una decisione; ma non si aprirà un’agenzia consolare perché in quel luogo vince il PdL o si chiuderà perché vince il PD, perché questo non sarebbe intellettualmente onesto.
Al riguardo, rilancio in questa sede una proposta avanzata altrove, tra il serio e il faceto: questo dibattito potrebbe anche concludersi in un’altra maniera. I 18 parlamentari eletti all’estero – qui ovviamente 6 – mi indicano quali sono i consolati del loro collegio che non è possibile chiudere e, al di fuori di questi, mi lasciano libero di agire. Avremmo evitato il dialogo e il confronto, avremmo risparmiato molto tempo e loro sarebbero molto più felici perché sul loro territorio sarebbero ricordati come Don Chisciotte della Mancia che si batté contro i mulini a vento del Governo e quest’ultimo potrebbe operare liberamente la sua razionalizzazione della rete consolare.
Siccome non credo che il senatore Micheloni volesse intendere questo, vorrei che, per lo meno sul piano dell’onestà intellettuale, non si partisse ponendo paletti di questo tipo perché allora l’avventura sarebbe estremamente difficile e pericolosa. Tra l’altro, vorrei rispondere che c’è anche un luogo dove vince il PdL nel quale ho intenzione di chiudere un consolato e quindi sarebbe una sorta di suicidio, sul quale mi voglio giocare forse la denuncia penale che mi è stata promessa per immaginare di chiudere questo consolato.
Su tutto questo, con grande sensibilità e grande disponibilità da parte di tutti, ci stiamo avviando a definire in qualche modo qualcosa di nuovo, di innovativo, non solo in termini di reti diplomatiche e consolari ma anche di rapporti tra Governo e Parlamento, rispettando quella che era credo la missione strategica indicata dall’onorevole Mirko Tremaglia, che qui voglio ringraziare e di cui sono l’indegno erede, anche perché mi tocca in qualche modo cercare di avviare o modificare molte delle cose che lui aveva costruito nel tempo ma che erano a quel tempo assolutamente necessarie e fondamentali.
Mi accingo perciò a dare una risposta alle due mozioni, presentate rispettivamente dal senatore Micheloni e dal senatore Pedica. A nome del Governo dichiaro che le accetto, ma chiedo delle riformulazioni; ne ho già parlato con i presentatori ma qui avanzo tale richiesta in forma ufficiale. Per quanto riguarda la mozione del senatore Pedica, che è diversa da quella del senatore Micheloni perché affronta altri argomenti, il Governo chiede la seguente riformulazione: «impegna il Governo: ad approfondire il progetto di riordino della rete degli uffici all’estero non tralasciando l’altrettanto necessaria rivisitazione dei compiti e delle funzioni delle numerose istituzioni che oggi rappresentano ed operano in favore dei cittadini italiani all’estero; a ripensare al progetto di riordino delle istituzioni sopracitate tenendo presente: a) l’importanza strategica di taluni uffici di rappresentanza dell’Italia all’estero; b) l’imprescindibile ruolo delle nuove tecnologie nel processo di ammodernamento delle procedure amministrative; c) il necessario e costruttivo confronto con il Parlamento».
Per quanto riguarda invece la mozione presentata dal senatore Micheloni, anche di questa ne abbiamo già parlato, il Governo suggerisce la seguente ristesura: «impegna il Governo a mantenere una costante consultazione con il Parlamento attraverso la sede competente delle Commissioni esteri». Su questo punto, un breve inciso: mi rendo conto che chiedere al Senato l’impegno da parte delle Commissioni esteri, quindi anche di quella della Camera, rappresenta una forzatura. Voglio usare tale espressione, innanzitutto, a fini di carattere generale, indicando cioè genericamente le Commissioni esteri, e in secondo luogo, con l’auspicio del Governo che il confronto avvenga in sede di Commissioni affari esteri, possibilmente in sede congiunta. Quindi, se gli uffici me lo passeranno, come Governo chiederei di lasciare questa definizione plurale, che da un lato ha un connotato descrittivo di carattere generale e dall’altro invece sottintende questa sede congiunta.
Quindi, ripeto, si impegna il Governo «a mantenere una costante consultazione del Parlamento attraverso la sede competente delle Commissioni esteri per contribuire all’analisi delle iniziative di razionalizzazione degli uffici diplomatici e consolari e ad avviare quanto prima un confronto con le Commissioni parlamentari competenti per una valutazione strategica del ruolo della rete degli uffici all’estero».
Credo con ciò di aver risposto alle questioni sollevate nelle mozioni. Il Governo – ha concluso Mantica – ringrazia quindi nuovamente sia i presentatori di queste mozioni, sia per l’occasione che ci è stata data in Aula di affrontare un argomento che rappresenta tutti noi perché rappresenta il sistema Italia.